Il Corpo

NARRATIVA

di Marianna Vitale

Mia madre una volta mi disse che per capire se una bambina sarebbe stata magra da adulta bisognava guardarle le caviglie. Se le caviglie sono sottili, disse, tutto il resto sarà proporzionato.
         Io avevo le caviglie grosse.
         Sfogliavo un album di foto di quando aveva la mia età, non mi somigliava affatto. Mia madre aveva sempre avuto le caviglie sottili. Mi guardavo allo specchio e capivo che non ero destinata a essere magra neanche in futuro.
         Conobbi Lucrezia al parco, durante l’estate della seconda media. Aveva già finito la prima superiore, e questo faceva di lei una ragazza. Le ho guardato subito le caviglie. Erano grosse, come le mie. Allora ho capito che potevamo essere amiche.
         Era la prima estate che i miei mi lasciavano andare in giro da sola, mentre Lucrezia era già piuttosto indipendente. Sua madre l’aveva abituata fin da piccola.
         Lucrezia fu il mio biglietto di sola andata verso il mondo degli adulti. Per prima cosa mi insegnò come farmi notare dai ragazzi.
         «Quando ne vedi uno che ti piace, socchiudi un po’ le labbra e guarda dritto davanti a te.» 
         Disse che era un metodo infallibile.
         E, in effetti, nella maggior parte dei casi funzionava. Ma non riuscivo mai a mantenere il giusto atteggiamento fino alla fine, perché dopo qualche secondo mi giravo a controllare se il ragazzo in questione mi stesse davvero guardando. Questo gli faceva perdere interesse. Inoltre avevo difficoltà a capire quale fosse il tipo di ragazzo che mi piaceva. L’unica cotta l’avevo avuta in quarta elementare per un bambino biondo con le lentiggini, il mio compagno di banco. Lucrezia mi aveva detto che quello non era il tipo a cui dovevo aspirare. Dovevo guardare i ragazzi più grandi.
         «Quelli giusti li riconosci dal taglio di capelli» mi disse. «Se sono troppo corti significa che glieli taglia ancora la mamma. Se li portano lunghi sono già nella fase di ribellione, se hanno un taglio fatto dal parrucchiere se la tirano un po’.»
         «E noi quali preferiamo?» Ancora non avevo le idee molto chiare.
         «Mai il cocco di mamma. Puoi scegliere tra gli altri due. Io personalmente preferisco quelli coi capelli lunghi, anche se a volte non usano il deodorante. Può essere fastidioso.»
         Mi piaceva Lucrezia, aveva una sua opinione su tutto.
         Quella fu anche l’estate in cui mi crebbe il seno. Dalle fattezze di bambina passai direttamente a una terza da donna, senza fasi intermedie.
         Lucrezia disse che mi invidiava. «Mia mamma porta la terza» disse. «Quanto vorrei mettere i suoi reggiseni . . .»
         Questo mi rendeva orgogliosa. Il seno di Lucrezia era ancora acerbo, e le sue curve poco pronunciate.
         Una volta che sua madre non era in casa tirò fuori un reggiseno dal cassetto del suo armadio per farmelo provare. Voleva vedere che effetto avrebbe fatto su di me. Era un reggiseno rosso, di pizzo, con le bretelle lisce e sottili. Mi vergognavo a farmi vedere da lei così, ma Lucrezia mi mise un rossetto rosso e mi legò i capelli in alto sulla nuca.
         «Adesso cammina un po’ avanti e indietro» disse.
         Mentre le sfilavo davanti in reggiseno e shorts, cercando di camminare come una modella, il mio imbarazzo sfumò fino a svanire del tutto. Avevo qualcosa che lei desiderava, per la prima volta ero al centro dell’attenzione, e scoprii che mi piaceva.
         «Adesso toglilo che lo provo io» fece lei, dopo un po’.
         Mi sfilai il reggiseno coprendomi con la maglietta, Lucrezia lo prese e andò a chiudersi in bagno. Tornò dopo pochi minuti, con la canottiera addosso e il reggiseno ancora in mano.
         «Non mi sta tanto bene» disse senza guardarmi, e lo riportò nel cassetto di sua madre. «Mi manca davvero poco» aggiunse, mentre uscivamo di casa.
         Non ne parlammo più. Alcuni giorni dopo frugai nell’armadio di mia madre, tirai fuori i suoi vestiti e li confrontai con i miei. Anche lei aveva una terza di seno, ma la sua vita era così stretta e le sue misure così perfette.
         Non sarei mai stata come lei.

         «Non hai paura di come sarai da adulta?» chiesi a Lucrezia un pomeriggio.
         Non rispose subito. Capii che non ci aveva mai pensato. Dava per scontato che sarebbe sempre stata attraente.
         «Voglio dire, se non avrai un bel fisico . . .»
         «L’importante è avere un bel naso» disse lei. «Ci hai mai fatto caso? Un brutto naso rovina anche il fisico più bello. Per tutto il resto c’è un rimedio, ma se hai un brutto naso hai chiuso.»
         «Ma il naso te lo puoi rifare» dissi io, e tastai il mio fingendo di grattarmelo.
         «Preferisco rifarmi le tette, se proprio devo scegliere.»
         Io avevo il naso piccolo e le tette grandi. Secondo i parametri di Lucrezia ero praticamente perfetta. Eppure ogni volta che mi guardavo allo specchio c’era qualcosa che non andava in me. Avrei barattato volentieri il mio seno con un ventre piatto.

         Lucrezia conobbe un ragazzo, uno con i capelli lunghi come piacevano a lei, che si faceva chiamare Jack.
         Jack prese a uscire con noi quando andavamo al parco o al mare. Fu il primo ragazzo a vedermi in costume. Cioè, il primo ragazzo che conoscevo abbastanza bene e che mi vide in costume davvero da vicino. Ogni tanto lui e Lucrezia scherzavano sulle dimensioni del mio seno, io stavo al gioco e ridevo – e sotto sotto mi faceva piacere. Ma non sapevo fino a che punto ci si poteva spingere, perché Lucrezia era gelosa delle sue attenzioni nei miei confronti e io non volevo farla arrabbiare. Dipendevo da lei in tutto. Se lei mi diceva andiamo a fare il bagno io ci andavo, se mi diceva rimani a controllare gli zaini perché voleva stare sola con Jack io ubbidivo, e intanto mi guardavo intorno per cercare un ragazzo che piacesse a me.
         Un pomeriggio mi propose di fare il bagno con Jack perché lei non ne aveva voglia, e non voleva che lui ci andasse da solo. Ci pensai un momento perché la cosa mi metteva a disagio, ma alla fine accettai. Forse voleva che lo tenessi d’occhio.
         Una volta in acqua, lui si offrì di farmi fare un tuffo. Sapevo che Lucrezia ci guardava dalla riva e che non avrebbe apprezzato la cosa. Ma eravamo a una certa distanza e, per paura che lui mi considerasse una guastafeste, acconsentii. Era la prima volta che un ragazzo mi prendeva in braccio, la prima volta che sentivo delle mani maschili sui miei fianchi. Anche se con Jack c’era confidenza, non riuscivo a mascherare l’imbarazzo. Lui mi sollevò e mi lanciò con forza. Non appena avvertii l’impatto con l’acqua, mi sentii come liberata. Capii che Jack avrebbe potuto farmi qualsiasi cosa in quel momento, che poteva maneggiarmi come voleva, e se non lo faceva era perché non ne aveva l’intenzione. Gli chiesi di fare un altro tuffo e questa volta mi fece salire sulle sue spalle. Le mie cosce sembravano enormi accanto alla sua testa e quando me le strinse con le mani mi sentii diversa. Provai il desiderio di far scorrere quelle mani su tutto il mio corpo. Non mi era mai successo prima. Guardai le mie caviglie dall’alto e mi parvero quasi proporzionate.
         Jack mi ribaltò all’indietro e io non ero pronta. L’acqua mi entrò dal naso e mi bruciò in gola. Riemersi tossendo e sputando.
         «Hai bevuto?» disse lui. Rideva.
         «È tutto ok» dissi io, tra un colpo di tosse e l’altro. Più cercavo di smettere e più mi sentivo soffocare, e più soffocavo più sentivo salire la vergogna per la pessima figura che stavo facendo.
         «Se vuoi usciamo.»
         «No» dissi. «Ci voglio riprovare.»
         Non so perché lo dissi. Forse volevo solo dimostrare che ero in grado di tuffarmi come si deve, o forse volevo sentire di nuovo le sue mani sulla mia pelle. In ogni caso sapevo che stavo oltrepassando un limite, e che non sarei più stata in grado di tornare indietro.
         Jack si passò le mani tra i capelli per toglierseli dalla fronte, inspirò e abbassò la testa, fino a immergerla del tutto. Sentivo che il cuore mi batteva più veloce del normale e che non avrei mai avuto il fiato necessario per quel tuffo. Lanciai l’ennesima occhiata in direzione della riva, ma sembrava che Lucrezia non fosse più interessata a quello che stavamo facendo. Salii sulle spalle di Jack e lui mi sollevò di nuovo. Le sue mani mi stringevano più forte ora, con più sicurezza.
         «Pronta?»
         Annuii, ma poi mi resi conto che non poteva vedermi, e dissi: «Sì, vai!»
         Lui contò fino a tre, per non cogliermi di nuovo impreparata, e mi scagliò con tutta la forza che aveva. Per un istante, mentre facevo una capriola all’indietro, mi sentii capace di qualsiasi cosa. Poi la mia schiena impattò con l’acqua e avvertii un dolore lancinante, come una frustata. Riemersi fingendo che non fosse successo niente, almeno questa volta non avevo bevuto e potevo mascherare meglio il mio fallimento.
         «Sei stata brava» mi disse Jack, sorridendo.
         Lo guardai negli occhi e per la prima volta pensai che fosse davvero carino. Non un “gran figo” come lo definiva Lucrezia, ma un ragazzo carino – che, nonostante l’aria da duro, sapeva metterti a tuo agio.
         Quando tornammo a riva Lucrezia faceva finta di dormire. Non voleva darci la soddisfazione di chiedere se ci eravamo divertiti. Noi la ignorammo, seduti vicini sulla sabbia scambiammo qualche parola di poca importanza. Lucrezia aprì gli occhi dopo alcuni minuti.
         «Ah, siete tornati» disse. «Non vi ho proprio sentito. Oggi non sto tanto bene, mi accompagni a casa?» chiese a Jack.
         Lui si voltò a guardarmi, come se io avessi la risposta giusta. Ma non l’avevo.
         «Ok, dammi il tempo di asciugarmi» disse a Lucrezia, e si alzò per prendere il suo telo nello zaino.
         «Vengo anche io» dissi, allungando una mano verso la mia borsa.
         «No, non ti preoccupare» fece Lucrezia, che si stava già rivestendo. «Rimani pure un altro po’. Ti scrivo domani.»
         Sapevo che era un ordine, che voleva restare sola con Jack, e che non potevo obiettare.
         «Ok, a domani.»
         Mi sdraiai fingendo che la cosa non mi importasse.
         Lui mi lanciò un’occhiata, che non ricambiai, e mi salutò mentre si allontanava al fianco di Lucrezia.
         Pensai che lei non lo meritava.

         Quella sera faticai a prendere sonno. Pensavo a Jack e cercavo di visualizzare il suo volto nella mia mente ma, nonostante lo conoscessi bene, non riuscivo più a ricordarlo. Potevo isolarne alcuni dettagli – gli occhi, le labbra, i capelli – ma poi non ero in grado di metterli insieme. Era una cosa davvero strana, perché fino al giorno prima avevo sempre pensato a lui senza problemi. In ogni caso, l’idea di rivederlo mi rendeva felice, e nel buio della mia camera provai a sfiorarmi immaginando che fosse Jack a farlo. Mi passai entrambe le mani sui fianchi, salendo pian piano fino ad arrivare al seno. Mi toccai il collo, seguendone la curvatura e immaginando che lui vi posasse le labbra. Mi accarezzai una guancia e mi baciai il dorso della mano, con gli occhi chiusi, fingendo che fosse la sua bocca. Sorrisi, come se mi avesse sussurrato qualcosa all’orecchio, e mi infilai una mano tra i capelli pensando ai suoi. Infine mi accarezzai le cosce, prima all’esterno, poi, lentamente, nell’interno, tra le gambe.
         All’improvviso mi bloccò il pensiero delle mie caviglie. Mi misi seduta e provai a tastarle, ad avvolgerle con le mani, ma non riuscivo a unire le dita, servivano due palmi per coprirne tutta la superficie. Mi dissi che le caviglie di Lucrezia erano altrettanto grosse, e che a Jack andavano bene così, ma ormai le mie fantasie erano sfumate via.

         Il giorno dopo Lucrezia si presentò da sola al nostro appuntamento in spiaggia. Disse che Jack era impegnato, ma io sapevo che era stata lei a decidere che non doveva venire. Non mi sentivo in colpa, forse avrei dovuto, ma finalmente avevo trovato un ragazzo che mi piaceva e che corrispondeva anche ai gusti di Lucrezia, dato che era il suo. Mi sentivo quasi orgogliosa, per una volta sapevo a cosa mirare.
         «Perché non andiamo a fare una passeggiata?» propose lei. Ci eravamo appena sdraiate al sole.
         «Va bene» risposi.
         «Così possiamo guardarci un po’ intorno. È ora che tu trovi qualcuno, e magari anche io. Inizio ad annoiarmi con Jack.»
         Voleva mettermi alla prova, era chiaro. Eppure la prospettiva che Lucrezia cercasse davvero un nuovo ragazzo mi dava speranza.
         Mi alzai in piedi, mi sistemai il costume sul seno e sul sedere, e mi sciolsi i capelli, ravvivandoli un po’ con le mani.
         Lucrezia indossava un costume che non le avevo mai visto prima. Era nero e scollato, chiaramente di qualche taglia in più della sua. Mentre camminava, il pezzo sopra le si muoveva a destra e sinistra, scoprendole a tratti i seni piccoli e chiari. Mi sforzai di non guardarla.
         «È nuovo il costume?» le chiesi.
         «È di mia mamma. Ma non lo usa mai.»
         Non riuscii a dirle che non le stava per niente bene.
         Lei indicò davanti a noi. «Guarda quei due laggiù, che ne pensi?»
         Guardai, mi sembrarono normali. Passabili, con un fisico magro, i capelli tagliati dal barbiere.
         «Carini» dissi, per non sbilanciarmi troppo.
         «Dai, arrivano già in coppia. Sono perfetti.»
         Non feci in tempo a ribattere che Lucrezia si avvicinò ai due e li fermò, piazzandosi di fronte a loro.
         «Io e la mia amica cerchiamo compagnia, vi unite a noi?»
         Li vidi sorridere, ero ancora qualche metro più indietro. Mi vennero incontro subito dopo.
         «Lei è quella timida, ma vi giuro che è molto simpatica» disse Lucrezia, poi lasciò che mi presentassi da sola.
         «Viola» dissi, non ascoltai i loro nomi.
         Ovviamente Lucrezia scelse quello più carino e iniziò a chiacchierare allegramente con lui, proseguendo la passeggiata.
         L’altro ragazzo camminava al mio fianco, entrambi restavamo in silenzio.
         «Abitate qui anche voi?» chiese a un certo punto, per sciogliere il ghiaccio.
         «Sì, abbastanza vicino.»
         «Strano che non ci siamo mai incrociati, no?»
         «D’estate è pieno di gente.»
         Si capiva che non avevo voglia di parlare, non facevo alcuno sforzo per nasconderlo.
         «Vabbè, ci siamo incontrati oggi» ritentò. «Voi venite al mare tutti i giorni?»
         «Quasi tutti. Ma di solito Lucrezia ci viene con il suo fidanzato.»
         Lo dissi ad alta voce, volevo che mi sentissero tutti e tre. Avevo notato che l’altro ragazzo le stava troppo addosso e all’improvviso mi era sembrato ingiusto.
         Lucrezia si voltò e mi fulminò con lo sguardo, il ragazzo al suo fianco finse di non aver sentito. Forse a lui non importava più di tanto.
         «Ci facciamo il bagno?» propose lei.
         Io dissi che non mi andava e me ne tornai alla spiaggia libera, dove avevamo lasciato i teli. Nessuno cercò di farmi cambiare idea.

         «Non mi piace quando fai la stronza» disse Lucrezia. Tornò una decina di minuti dopo, sola e grondante.
         «Sei tu che fai la stronza. Se Jack non ti piace più dovresti dirglielo prima di cercarne un altro» risposi, sdraiata al sole con gli occhi chiusi.
         «E a te che te ne frega? Sono affari miei.»
         «Me ne frega perché Jack è anche amico mio, e non mi sembra giusto che lo tratti così.»
         «E allora vaglielo dire! Nessuno te lo impedisce.» Lucrezia raccolse le sue cose e fece per andarsene, poi aggiunse: «Anzi, sai che ti dico? Te lo puoi anche tenere Jack, se ti piace tanto. Non sa nemmeno baciare come si deve.»
         E si allontanò di fretta.
         Non mi alzai, non cercai di ribattere, non le andai dietro. Mi sentii quasi felice al pensiero che lei e Jack si sarebbero lasciati.

         Ma Lucrezia non lasciò Jack, non ne aveva la minima intenzione. Mi evitò per qualche giorno prima di rifarsi viva, poi tutto tornò come prima.
         Non parlammo più di lui, per un po’ non lo vidi e continuai a non ricordare il suo volto, fino a quel pomeriggio in cui lo incontrai per caso.
         Stavo andando in spiaggia, dove avevo appuntamento con Lucrezia per le quattro, ed ero in anticipo. Indossavo un vestito attillato a righe bianche e blu e avevo i capelli legati in una coda alta. Stavo camminando sul marciapiede e guardavo in basso, le unghie dei piedi appena dipinte con lo smalto nero.
         Lui arrivò da dietro, mi appoggiò una mano sulla spalla e mi chiamò per nome. Mi fece sussultare.
         Ma quando girai la testa e finalmente rividi il suo viso, quel viso che avevo cercato di ricostruire così tante volte nelle ultime settimane, non potei fare a meno di sorridere.
         «Ehi» dissi. «Come stai?»
         Lui ricambiò il sorriso, sembrava sinceramente felice di rivedermi.
         «Tutto bene. Ho avuto un po’ da fare . . . Sai, gli amici, la band . . . cose così.»
         Annuii. «Lucrezia mi ha accennato.»
         «Stai andando da lei?»
         «Sì, alla spiaggia libera.»
         «Ti accompagno.»
         Il cuore prese a battermi più forte, dissi: «Ok» e continuai a camminare, cercando di non incrociare il suo sguardo, perché non avrei saputo come sostenerlo.
         «Ti sta molto bene questo vestito» disse lui dopo qualche passo.
         Io mi voltai solo un istante, come per ringraziarlo.
         Non riuscivo a dire nient’altro, ero paralizzata dall’imbarazzo. Non mi era mai successo con Jack, avevamo sempre scherzato come vecchi amici finché tra noi i confini erano stati chiari. Ora non sapevo come comportarmi, non volevo sembrare troppo fredda, ma allo stesso tempo volevo che capisse che ero diversa da Lucrezia – più gentile, più romantica, più adatta a lui.
         Jack non sembrava accorgersi di quello che provavo realmente, mi considerava un’amica, la migliore amica della sua ragazza e di conseguenza forse anche la sua.
         «Ti fermi al mare con noi?» gli chiesi, quando ormai eravamo vicini alla spiaggia.
         «Potrei…» disse. «Ma non ho il costume.»
         «Lucrezia forse non sarà contenta se stai in mutande, ma io non mi faccio problemi» dissi, ridendo.
         «Lucrezia non può sempre decidere per me.»
         Mi guardò negli occhi e io credetti di capire a cosa si riferiva.
         Sorrisi e abbassai lo sguardo, le mie guance divennero di fuoco.

         Come previsto Lucrezia non fu contenta della nostra decisione.
         «Volevo stare un po’ da sola con Viola» disse, per giustificare il suo malumore.
         «Non preoccuparti, vado a farmi un bagno e poi torno a casa» rispose Jack, la sua espressione si fece dura. Si spogliò e andò a tuffarsi.
         Non riuscii a non guardare le sue mutande firmate Coveri.
         «Ci siamo incontrati per caso, lo giuro» dissi a Lucrezia, che mi stava fissando come per studiarmi.
         «Lo so, lo so. Fa sempre così.»
         «Così come?»
         «Gli piace farsi notare.»
         «Beh, non ti preoccupare» mentii. «A me non fa né caldo né freddo.»
         Lucrezia non aggiunse altro. Stava guardando il mio seno sinistro, all’altezza del quale avevo applicato un tatuaggio per bambini a forma di farfalla – così, tanto per provare come mi stava.
         Penso sia stato in quel momento che abbiamo smesso di essere amiche.

         Tutto quello che venne dopo ebbe meno importanza. Tra noi non era già più la stessa cosa. Non ci confidavamo più, non commentavamo più i ragazzi, non sentivamo il bisogno della presenza dell’altra. Ci frequentavamo per abitudine. Perciò i miei sensi di colpa erano già svaniti del tutto quando successe quel che successe.
         Ci eravamo dati appuntamento sotto casa mia, Jack mi aveva scritto un messaggio dopo aver copiato il mio numero dal cellulare di Lucrezia. Mi chiedeva di vederci per una chiacchierata, io avevo accettato senza poter credere a ciò che stava accadendo. Mi ero truccata gli occhi, avevo messo il vestito a righe che gli piaceva e il profumo di mia madre.
         Quando lo avevo visto sotto casa, per un momento avevo temuto di non riuscire più a respirare.
         «Scusa l’improvvisata» aveva detto lui.
         «Mi ha fatto piacere, in realtà.»
         Camminammo un po’ fianco a fianco, dirigendoci verso il parco.
         «Questo vestito ti sta davvero bene, devo avertelo già detto.»
         «Sì, me l’hai già detto.»
         Sorrisi. Mi guardai i piedi. Avevo messo un paio di sandali alla schiava e me ne stavo pentendo, perché i laccetti legati intorno alle caviglie ne facevano risaltare lo spessore.
         «Viola, io credo che tu abbia una cotta per me.»
         Mi fermai di colpo e lo fissai. «Come?»
         Lui sospirò. «L’ho capito che tu e Lucrezia avete litigato per colpa mia.»
         «Non abbiamo litigato» puntualizzai. Ripresi a camminare e lui fece lo stesso.
         «Sai a cosa mi riferisco.»
         «Lucrezia è gelosa di me, e io non posso farci niente.»
         «Forse ti ho fatto troppi complimenti.»
         Mi bloccai di nuovo, all’improvviso non avevo più voglia di stare lì, e pensai di tornarmene subito a casa e chiuderla una volta per tutte con lui e con tutto quello che era successo quell’estate.
         «Perché sono confuso anch’io» riprese. «A volte, quando sono con lei penso a te.»
         Lo fissai stupita, lui si chinò su di me e mi baciò.
         Le sue labbra erano troppo bagnate e il suo respiro era pesante. Sapeva di fumo. Mi appoggiò una mano sul fianco e con l’altra cercò il mio seno sinistro. Chiusi gli occhi solo un istante e quando li riaprii la sua faccia vista così da vicino mi sembrò ridicola. Provai disgusto. Lo lasciai finire solo perché pensavo che Lucrezia se lo meritasse. Ma poi capii che quello era il mio primo bacio e lo stavo sprecando. Mi staccai da lui. Fissai la sua mano sul mio seno, mi resi conto che lo stava stringendo e mi stava facendo male.
         Accanto a noi passò una signora che portava a passeggio il cane. Lui mi lasciò e mise le mani in tasca.
         Proseguimmo in silenzio per farci scivolare addosso l’imbarazzo non tanto di quello che era successo, ma dell’essere stati scoperti. Lui non sembrava essersi accorto di aver rovinato tutto.
         Arrivammo all’entrata del parco e io dissi che dovevo tornare a casa.
         «Speravo di parlare con te ancora un po’» disse lui.
         «Non dovresti fare questo a Lucrezia» dissi, e me ne andai.
         In realtà dopo quel giorno non rividi più Lucrezia, se non per caso.

         Quel pomeriggio, quando tornai a casa, mi spogliai del mio vestito a righe e iniziai a rovistare nell’armadio di mia madre. Indossai uno dei suoi reggiseni, quello nero imbottito, che lei non portava quasi mai. Osservai i suoi abiti eleganti appesi alle grucce, ordinati per colore, li toccai uno a uno per sentire lo spessore delle stoffe, la trama e la morbidezza dei tessuti. Ne scelsi uno di raso blu, smanicato, lungo fino al ginocchio. Era troppo stretto per me ma lo provai comunque, lasciando aperta la cerniera lungo la schiena.
         Poi cercai le scarpe, sapevo già quali. Mia madre indossava sempre le stesse per le grandi occasioni: un paio di décolleté nere lucide, con un tacco di dieci centimetri.
         Mi stampai un altro tatuaggio per bambini. Infilai le scarpe, mentre aspettavo qualche minuto perché aderisse bene e si staccasse con facilità.
         In bagno, seduta sul bordo della vasca, potevo osservare la mia immagine nella grande specchiera girevole che mia madre usava per truccarsi.
         Sollevai il cartoncino del tatuaggio e verificai che fosse venuto bene. Mi spostai leggermente, stendendo la gamba da un lato, in modo fosse l’unica cosa che compariva nello specchio, dallo spacco del vestito fino alla décolleté. E, sulla caviglia, la rosa rossa con il gambo attorcigliato che scendeva fino al tallone.

The Body

FICTION

by Marianna Vitale

          My mother once told me that you could tell whether a girl would grow up to be thin by looking at her ankles. If the ankles are slender, she said, everything else will be in proportion.
         I had thick ankles.
         I flipped through a photo album from when she was my age. She didn’t look like me at all. My mother always had slender ankles. I inspected myself in the mirror and knew I wasn’t destined to be thin.
         I met Lucrezia in the park during the summer after seventh grade. She’d already finished her first year of high school, she was much more grown up than me. I checked out her ankles right away. They were thick like mine, so I knew we could be friends. 
         That was the first summer my parents let me go anywhere on my own, while Lucrezia was already pretty independent. Her mother had gotten her used to it from an early age.
         Lucrezia was my one-way ticket to the world of adults. For starters, she taught me how to get guys to notice me.
         “When you see one you like, pout your lips a little and look straight ahead.”
         She said it was foolproof.
         Actually, it did work most of the time. But I could never keep up the attitude, and after a few seconds I’d turn and check to see if the guy in question really was watching me. This made him lose interest. I also had a hard time figuring out which type of boy I liked. The only crush I’d ever had was on a classmate in fourth grade, a blond kid with freckles. I should have been looking at older boys.
         “You’ll recognize the right ones by their haircut,” Lucrezia told me. “If it’s too short that means their mom still cuts it for them. If they keep it long, they’re in their rebellious phase. And once they start going to a hair stylist, they can get a little full of themselves.”
         “And which kind do we like?” I still didn’t have a very clear idea.
         “Never the mama’s boy. You can choose between the other two. Personally, I prefer the ones with long hair, but sometimes they don’t use deodorant. It can get annoying.”
         I liked Lucrezia, she had an opinion about everything.
         That was also the summer I got breasts. From the flat chest of a little girl, I jumped directly to the C cup of a woman, without anything in between.
         Lucrezia said she was jealous. “My mom’s a C cup. I wish her bras fit me . . .”
         This made me proud. Lucrezia’s breasts were still undeveloped, and she didn’t really have any curves.
         Once when her mother wasn’t home, she took a bra from her drawer and made me try it on. She wanted to see what it would look like on me. It was red lace with smooth, delicate straps. I was embarrassed to let her see me in it, but Lucrezia put some red lipstick on me and tied my hair back.
         “Walk around a little, back and forth,” she said.
         While I paraded in front of her in bra and shorts, trying to walk like a model, my embarrassment faded and then vanished altogether. I had something she wanted. For the first time I was the center of attention, and I liked it.
         “Now take it off so I can try it on,” she said after a little while.
         I took off the bra, covering myself with my t-shirt. Lucrezia grabbed it and locked herself in the bathroom. She returned a few minutes later wearing her tank top, holding the bra.
         “It doesn’t fit me quite yet,” she said without looking at me, and she put it back in her mother’s drawer. “It’s almost there,” she added as we left the house.
         We didn’t talk about it anymore. A few days later I went rummaging through my mother’s closet, pulling out her clothes and comparing them with mine. She also wore a C cup, but her waist was narrow and her measurements perfect.
         I would never be like her.

         “Aren’t you scared of what you’ll turn out like as an adult?” I asked Lucrezia one afternoon.
         She didn’t answer me right away and I realized she’d never thought about it. She took it for granted that she’d always be attractive.
         “I mean, scared that you might not have a good body . . .”
         “The important thing is to have a good nose,” she said. “Haven’t you noticed? An ugly nose ruins even the most beautiful body. Everything else can be fixed, but if your nose is ugly, you’re screwed.”
         “But you can always get a nose job,” I said, touching mine and pretending to scratch it.
         “If I had to choose, I’d rather get a boob job.”
         I had a small nose and big breasts. According to Lucrezia’s standards I was practically perfect. Yet every time I looked in the mirror, I saw something wrong. I would have gladly traded my breasts for a flat stomach.

         Lucrezia met a boy, one with long hair just the way she liked it, who liked being called Jack.
         Jack started hanging out with us when we went to the park or to the beach. He was the first guy to see me in a swimsuit—that is, the first guy I knew fairly well and who saw me in a swimsuit from very close up. Sometimes he and Lucrezia would joke around about the size of my chest. I’d play along and laugh, and deep down I liked it. But I didn’t know how far I could push it because Lucrezia was jealous of his attention, and I didn’t want to make her mad. I depended on her for everything. If she said let’s swim, I went. If she told me to stay put and keep an eye on the backpacks because she wanted to be alone with Jack, I obeyed. And while I waited, I looked around for a guy I might like.
         One afternoon she told me to go swimming with Jack because she didn’t feel like it, and she didn’t want him to go alone. I thought it over for a minute because it made me uncomfortable, but I went. Maybe she wanted me to keep an eye on him.
         Once we were in the water, he offered to toss me up into the air for a dive. I knew Lucrezia was watching us from shore and wouldn’t appreciate it. But we were far enough out, and I didn’t want him to think I was no fun, so I agreed. It was the first time that a boy had taken me in his arms, the first time that I felt a guy’s hands on my hips. Even though I was friendly with Jack, I couldn’t hide my embarrassment. He lifted me up and threw me hard. As soon as I hit the water, I felt free. I knew then that Jack could have done anything to me, he could move me any way he wanted, and if he didn’t, it was because he chose not to. I asked him to do it again and this time he had me climb up on his shoulders. My thighs looked enormous next to his head but when he gripped them with his hands, I felt different. I felt my desire for him to run his hands all over my body. This had never happened to me before. I glanced down at my ankles and they seemed almost right.
         Jack tipped me backwards before I was ready. Water got up my nose and burned my throat. I came back up coughing and spitting.
         “Have you been drinking?” he said, laughing.
         “It’s all good,” I said between one cough and the next.
         The more I tried to stop, the more I choked, and the more I choked the more I hated how ridiculous I looked.
         “We can get out if you want.”
         “No,” I said. “I want to try again.”
         I don’t know why I said it. Maybe I just wanted to show him I knew how to dive in properly, or maybe I wanted to feel his hands again on my skin. Whatever the reason, I knew I was crossing a line and I wouldn’t be able to take it back.
         Jack ran his hands through his hair to get it off his forehead, took a deep breath and dropped his head back until it was underwater. I felt my heart beat faster. I’d never have the breath I needed for that dive. I glanced again at the shore, but Lucrezia seemed to have lost interest in what we were doing. I climbed up on Jack’s shoulders. His hands gripped me tighter now, with more confidence.
         “Ready?”
         I nodded, but then realized he couldn’t see me, so I said, “Yes, go!”
         He counted to three so he wouldn’t catch me off guard again, and then he hurled me with all his strength. For the instant I was in a backflip, I felt capable of anything. Then my back hit the water and I felt a shooting pain like whiplash. I resurfaced pretending nothing had happened. At least this time I wasn’t choking, and I could better hide my failure.
         “That was great,” Jack told me, smiling.
         I looked into his eyes and for the first time I thought he was cute. Not a “big hottie” like Lucrezia called him, but a nice guy who, despite looking tough, could put you at ease.
         When we got back to shore Lucrezia was pretending to be asleep. She wouldn’t give us the satisfaction of asking if we’d had fun. We ignored her. Sitting close together on the sand we talked a little while about nothing very important. Lucrezia opened her eyes after a few minutes.
         “Oh, you’re back?” she said. “I actually didn’t hear you. I’m not feeling great today. Could you walk me home?”
         Jack turned to look at me, as if I had a good answer. But I didn’t.
         “Okay, just give me a second to dry off.” Jack stood and got his towel from his backpack.
         “I’ll come too,” I said, reaching toward my bag.
         “No, don’t worry,” Lucrezia said. She was already getting dressed. “Please, hang out a little longer. I’ll text you tomorrow.”
         I knew it was an order. She wanted to be alone with Jack and I couldn’t object.
         “Okay, talk to you tomorrow.”
         I lay down and pretended I didn’t care.
         Jack threw me a look that I didn’t return and said bye as he walked off by Lucrezia’s side.
         She didn’t deserve him.

         That night I struggled to get to sleep. I thought about Jack and I tried to picture his face, but although I knew him well, I couldn’t remember it. I could recall some details—his eyes, his lips, his hair—but I couldn’t put them together. It was strange, because until that day I’d had no problem picturing him. Anyway, the thought of seeing him again made me happy, and in the darkness of my bedroom I touched myself and imagined that Jack was doing it. I slid my hands over my hips, climbing slowly up to my breasts. I touched my neck, following its curvature, imagining his lips on it. I stroked my cheek and kissed the back of my hand with my eyes closed, pretending it was his mouth. I smiled as if he’d whispered something in my ear and ran a hand through my hair thinking of his. Finally, I caressed my thighs, first outside, then, slowly, inside, between my legs.
         All of a sudden, the thought of my ankles stopped me. I sat up and tried to wrap my hands around them, but I couldn’t bring my fingers together—it took two palms to cover the entire surface. I told myself Lucrezia’s ankles were just as big, and Jack was fine with that, but by then my fantasy had died away.

         The next day Lucrezia showed up to our beach meetup alone. She said Jack was busy, but I knew she was the one who’d decided he couldn’t come. I didn’t feel guilty. Maybe I should have, but I’d finally found a guy I liked. Who also just happened to match Lucrezia’s tastes, given that he was hers. I was almost proud of myself. For once I knew what I wanted to shoot for.
         “Why don’t we go for a walk?” she proposed. We were lying in the sun.
         “Sounds good,” I said.
         “That way we can look around a little bit. It’s time you found someone, and me too, maybe. I’m starting to get bored with Jack.”
         She wanted to test me. But also, the prospect of Lucrezia actually looking for a new boyfriend gave me hope.
         I stood up, adjusted my swimsuit over my breasts and butt, and, loosening my hair, combed through it with my fingers.
         Lucrezia wore a swimsuit I’d never seen before. It was low-cut, black, clearly a few sizes too big for her. It shifted right and left as we walked, exposing her small, pale breasts at times. I forced myself to look away.
         “New suit?” I asked.
         “It’s my mom’s. But she never wears it.”
         I couldn’t tell her that it didn’t work on her at all.
         She pointed ahead of us. “Check out those two over there. What do you think?”
         I looked. They seemed normal. Passable, lean bodies, hair cut by a stylist.
         “Cute,” I said, not very enthusiastic.
         “Come on, they already come as a pair. They’re perfect.”
         I didn’t have time to respond before Lucrezia approached them and stopped, standing in their way.
         “My friend and I are looking for company. You want to join us?”
         I saw them smile. I was still a few feet back. They came towards me.
         “She’s the shy one, but I swear she’s nice,” said Lucrezia, then left me to introduce myself.
         “Viola,” I said. I didn’t listen to their names.
         Obviously Lucrezia chose the better-looking one and began chatting with him happily, resuming the walk.
         The other one walked beside me, both of us silent.
         At a certain point, to melt the ice, he asked, “You live around here too?”
         “Sure, close enough.”
         “Weird that we’ve never crossed paths before, isn’t it?”
         “Summers here are really crowded.”
         Anyone could tell I didn’t feel like talking. I made no effort to hide it.
         “Well, whatever, we met today,” he replied. “You come to the beach every day?”
         “Pretty much. But Lucrezia usually comes with her boyfriend.”
         I said this last part louder, wanting all three of them to hear me. The other guy was too close to Lucrezia and suddenly it didn’t seem right.
         She turned and glared at me. The guy next to her pretended he hadn’t heard. Or maybe he didn’t care.
         “Want to go swimming?” she proposed.
         I said I didn’t feel like it and went back to the spot where we’d left our towels. No one tried to change my mind.

         “I don’t like it when you act all bitchy,” Lucrezia said. She had returned about ten minutes later, alone and dripping wet.
         “You’re the one being a bitch. If you’re not into Jack anymore you should tell him before you go looking around for someone else,” I replied, lying in the sun with my eyes closed.
         “Why do you even give a shit? It’s my business.”
         “I give a shit because Jack’s my friend too, and I don’t think it’s right for you to treat him this way.”
         “Then go tell him! No one’s stopping you.” Lucrezia gathered her stuff to go, then added: “Actually, you know what? You can have Jack if you like him so much. He doesn’t even know how to kiss properly.”
         And she hurried off.
         I didn’t get up. I didn’t argue. I didn’t go after her. I felt almost happy, thinking she and Jack might break up.

         But Lucrezia didn’t leave Jack, she didn’t have the slightest intention of it. She avoided me for a few days, but then everything was the same as before.
         We didn’t talk about him anymore. For a while I didn’t see him, and I still couldn’t picture his face until the afternoon I ran into him.
         I was early for my four o’clock beach meetup with Lucrezia. I wore a tight dress with blue and white stripes, my hair tied up in a high ponytail. I was walking on the sidewalk, looking down at my toenails, freshly painted with black polish.
         He came up behind me, put his hand on my shoulder, said my name. It made me flinch.
         But when I turned and finally saw his face again, that face I’d tried to reconstruct so many times over the past few weeks, I couldn’t help but smile.
         “Hey,” I said. “How are you?”
         He smiled back and seemed genuinely happy to see me.
         “Alright. I’ve been a little busy . . . You know, friends, my band . . . stuff like that.”
         I nodded. “Lucrezia mentioned that.”
         “You’re headed to meet her?”
         “Yeah, at the public beach.”
         “I’ll come with you.”
         My heart started beating faster. I told him okay and kept walking, trying not to make eye contact because I wouldn’t be able to hold it.
         “You look great in that dress,” he said after a few steps.
         I turned my head for just an instant and thanked him.
         I couldn’t manage to say anything else. I was paralyzed with embarrassment. That had never happened to me with Jack, we’d always joked around like old friends when the boundaries between us were clear. Now I didn’t know how to act. I didn’t want to seem cold, but at the same time I wanted him to know that I was different than Lucrezia—nicer, more romantic, a better match.
         Jack didn’t seem to notice how I felt. He considered me a friend—his girlfriend’s best friend and so his friend, too.
         “Are you going to hang out with us?” I asked him. By then we were near the sea.
         “I could,” he said. “But I don’t have a swimsuit.”
         “Lucrezia might not be happy with you in your underwear, but I don’t mind,” I said, laughing.
         “Lucrezia doesn’t always get to decide for me.”
         He looked into my eyes and I thought I knew what he meant.
         I smiled and lowered my gaze, my cheeks on fire.

         As expected, Lucrezia wasn’t happy.
         “I sort of wanted to be alone with Viola,” she said to justify her bad mood.
         “Don’t worry, I’m just going to swim and then I’m going home,” Jack replied, his expression turning hard. He stripped off his clothes and went to jump in.
         I couldn’t help but check out his Coveri briefs.
         “We ran into each other by accident, I swear,” I said to Lucrezia. She was staring at me, studying me.
         “I know, I know. He always does this.”
         “Does what?”
         “He likes attention.”
         “Well, don’t worry about it. He really doesn’t mean anything to me,” I lied.
         Lucrezia didn’t say anything else. She was looking above my left breast, where I’d applied a fake tattoo in the shape of a butterfly, just to see how it would look.
         I think that’s when we stopped being friends.

         Everything after that was less significant. We didn’t confide in each other anymore, we didn’t talk about boys, we no longer felt the need for each other’s company. When we hung out, it was only by habit. My guilt had vanished completely by the time what happened, happened.
         We’d arranged to meet in front of my house, Jack and I. He’d texted me after getting my number from Lucrezia’s cell. He asked if we could talk, and I accepted. I could hardly believe it was happening. I did my eye makeup, put on the striped dress he liked and a dab of my mother’s perfume.
         When I saw him outside my house, I was afraid that I’d never be able to breathe.
         “Sorry to contact you out of nowhere,” he said.
         “I was glad, actually.”
         We walked side by side for a while, heading toward the park.
         “That dress looks great on you. I’m sure I mentioned it before.”
         “Yeah, you mentioned it.”
         I smiled and looked down at my feet. I’d put on a pair of gladiator sandals and was regretting it, because the laces tied around my ankles emphasized their thickness.
         “Viola, I think you have a crush on me.”
         I stopped short and stared at him. “What?”
         He sighed. “I know you and Lucrezia had a fight because of me.”
         “There was no fight,” I said. I started walking again and he followed.
         “You know what I’m talking about.”
         “Lucrezia’s jealous of me. I can’t help it.”
         “Maybe I’ve given you too many compliments.”
         I froze again. Suddenly I didn’t want to be there anymore, and I thought about going home immediately, being done once and for all with him and with everything that had happened that summer.
         “Because I’m confused, too,” he resumed. “Sometimes when I’m with her I’m thinking about you.”
         I stared at him in shock, and he leaned over and kissed me.
         His lips were too wet and his breathing too heavy. He tasted of smoke. He rested one hand on my hip and groped for my left breast with the other. I closed my eyes only for an instant and when I reopened them, his face so close looked ridiculous. I felt disgusted. I let him go on only because I thought Lucrezia deserved it. But it was my first kiss, and I was wasting it. I pulled away and stared at his hand on my breast. He was squeezing and it hurt.
         A woman passed by us with her dog. He let go of me and put his hands in his pockets.
         We went on in silence to let the embarrassment glide over us, not so much because of what happened, but because someone saw us. He didn’t seem to notice that he’d ruined everything.
         When we arrived at the park entrance, I said I needed to go home.
         “I was hoping we could talk some more,” he said.
         “You shouldn’t do this to Lucrezia,” I said, and left.
         After that day I never saw Lucrezia again unless it was by accident.

         That afternoon when I returned home, I took off my dress and looked again through my mother’s closet. I put on one of her bras, the black padded one that she almost never wore. I surveyed her elegant dresses on their hangers, arranged by color. I touched them one by one, feeling the thickness of the fabric, the texture and softness of the material. I chose one in blue satin, sleeveless, knee length. It was too tight, but I put it on anyway, leaving the zipper open in back.
         Then I looked for shoes. I already knew which ones I wanted. My mother always wore the same pair for grand occasions: shiny black pumps with four-inch heels.
         I applied another fake tattoo. I slipped on the shoes while I waited for it to stick.
         In the bathroom, I sat on the edge of the tub so I could see my reflection in the big swivel mirror my mother used for applying makeup.
         I lifted the tattoo’s backing. It was ready. I shifted slightly, stretching my leg to one side so that it was the only thing that appeared in the mirror, from the slit in the dress to the pump. And on my ankle the red rose with the twisted stem that descended to my heel.


(translated from the Italian by Laura Venita Green)

Marianna Vitale was born and raised in Rimini, a popular beach resort on Italy’s Adriatic Coast. She has a master’s degree in creative writing from Scuola Holden and works as a copywriter for the tourism industry. Her recent fiction and translations have appeared in World Literature Today, Rivista Blam, Tropismi, and Spazinclusi. “The Body” is from Vitale’s debut collection, Soltanto Giovani (Only Young), which was published in Italy by Augh Edizioni in September 2022. Each story in this collection is set in Rimini and features teenage protagonists. The twelve stories are divided by the seasons of the year, from spring to winter. “Il Corpo” (“The Body”) appears in the summer section.

 

Laura Venita Green has an MFA in fiction and translation from Columbia University. Her fiction won the 2021 Story Foundation Prize and has appeared in The Missouri Review, Story, Joyland, and Fatal Flaw. Her translations appear in World Literature Today and Spazincluzi.


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